Resta quel che resta (Piemme, 2022) è un romanzo di Katia Tenti. L’autrice è nata a Bolzano, dove tutt’ora vive. Ed è proprio il Süd Tirol l’affascinante scenografia dove si muovono i personaggi di un affresco corale, a partire dall’anno 1925.
Narràsi le vicissitudini di tre famiglie: gli Egger, altoatesini, i Marchetti e i Ceccarini, considerati allora walsche, stranieri perché italiani. Attorno a questi nuclei si muovono anche altri gruppi familiari come i Gasser e i Galli. Compresi i Ranieri, provenienti da Mesagne in Puglia.
All’inizio l’epoca è quella in cui Mussolini voleva italianizzare il Süd Tirol. Con tutte le complessità, differenze sociali e di vita pratica che il massiccio, seppur pacifico, arrivo di molte persone, anche dalle più distanti regioni del Paese, comportava.
Resta quel che resta non è un thriller secondo i canoni classici, è però una pluralità di storie che s’intrecciano e si accavallano, movimentate da interpreti a volte mossi dalla buona fede, altre dalla speranza, altre ancora dall’odio profondo e inesauribile.
C’è violenza, sì e della peggiore specie. Assimilata alla vigliaccheria, la delazione, il sopruso: nello stupendo scorrere del testo sfilano anni durissimi. Impastati nella consapevolezza del dolore, ma anche nella leggerezza della speranza.
Come sopra accennato chi si aspetti un canonico thriller, e non lo troverà, si soffermi a riflettere: quando un libro è buono è anche privo di qualsivoglia etichettatura. Il ventennio fascista, ad esempio, è un lungo brivido ben peggiore di un giallo. La conseguente guerra civile, con le vendette personali mascherate da atto di giustizia, è ugualmente drammatica tanto quanto le gesta dei ‘classici’ serial killer.
Quello di Katia Tenti è un vocabolario ricco e accuratamente speso. Mai però ostentato. Il romanzo porta in sé il battito di molti cuori, mescolati tra loro dalle insidie della Storia e la bizzarria del destino. In questo v’è una frase rivelatrice verso fine romanzo: “A volte capita che gli eventi respirino, come spaventati dalle loro stesse conseguenze.”
Dal 1925 al 1980 le vite degli Egger, Ranieri, Marchetti si sciolgono attraversando degrado, miseria, apatia, arroganza, ricchezze accumulate indebitamente, o mantenute con artifizio in un mare magnum di anime sfilacciate.
Anna Ranieri è il fil rouge di Resta quel che resta. A partire da un infanticidio fino all’indipendenza vissuta in quel di Parigi. Lei, ignara di quanto (le) sia accaduto – e qui troviamo il coté giallo della storia – sfiora quasi tutti gli attori e i luoghi della vicenda.
Si ribadisce: il noir è abilmente intessuto nella trama; dal momento in cui si compie l’atrocità, questa sarà sempre al centro di ogni altra vicenda o sottotesto. La coralità del disegno mai sarà sottratta da quel punto fermo, da quella notte in cui un cuore perduto e inanimato darà corso ad un effetto domino a trascinare con sé intere esistenze.
Katia Tenti, inoltre, descrive con dovizia da navigato cronista politico il clima del Trentino Alto Adige invaso dagli italiani su progetto del Duce. Vi ricorda qualcosa questa frase: “Come i ratti: sono tanti, si infilano ovunque, cagano all’aperto, si riproducono velocemente e divorano di tutto.” Il passato non è poi così lontano quanto lo si creda tale.
E con la nascita del Südtiroler Volkspartei fluisce tra le pagine la mutazione di Bolzano: dalla baraccopoli ‘italiana’ chiamata Shangai, fino alla zona delle strutture abitative denominate Semirurali, al primo grattacielo sorto in città.
Cinquantacinque anni di Storia e vicissitudini scorrono davanti agli occhi del lettore: ciascuno degli interpreti troverà la sua destinazione: o chiudendosi dentro di sé o fuggendo da sé stesso. O come Anna, che, in una scelta tutto sommato semplice: la tinta dei capelli, ribadirà la propria determinazione verso quella libertà che la sorte medesima le deve di diritto.
Recensione di Gioia Verni.
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