Nel 1954 lo scrittore Elias Canetti, durante una pausa dalla sua produzione letteraria, seguì una troupe cinematografica in un viaggio in Marocco, nella splendida “città rosa” di Marrakech. Da questa esperienza nacque “Le voci di Marrakech” un piccolo ma prezioso libro, una sorta di diario, di resoconto di viaggio e di vita.
La scrittura fortemente espressiva di Canetti prende per mano il lettore e lo accompagna per le vie color ocra popolate di volti arabi e berberi di Marrakech, città allora alle soglie della fine del dominio coloniale francese.
Il libro si snoda attraverso 14 capitoli di varia lunghezza, nei quali Canetti ci porta con sé nelle strette strade, nei suk, nei mercati, nelle piazze di Marrakech,dandoci la sensazione di appartenere da sempre a questa città. “Davvero in quel momento mi sembrò di essere altrove, di aver raggiunto la meta del mio viaggio. Da lì non volevo più andarmene, ci ero già stato centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato, ed ecco che ora tutto ritornava in me…”.
Possiamo vedere le carovane di cammelli approssimarsi lentamente alle mura dell’antica capitale, sentire i forti odori che riempiono l’aria, essere abbagliati dalla varietà dei colori che ci investono entrando nei suk e osservare da vicino i mercanti di tappeti, i gioiellieri, i venditori di spezie e di articoli in pelle, sentire il caldo afoso delle piazze e il fresco ombroso delle case, incontrare personaggi affascinanti: donne col velo, bambini che in un mondo arabo leggono perfettamente l’ebraico, matti, accattoni, fachiri, ebrei, ostesse e mantenuti.
Per Canetti tutto è ugualmente importante e degno di nota, non c’è gerarchia tra gli avvenimenti. Le varie vicende sono unite dal modo in cui egli si pone di fronte ad esse ,con una totale assenza di preconcetti, chiaramente voluta e perseguita. Canetti lascia fluire su di sé tutto quel che avviene a Marrakech, capta forme e suoni. Da uomo di grande cultura e profondo conoscitore di lingue e culture altrui quale era, Canetti decise, tuttavia, quando partì per il Marocco, di partire senza conoscere la lingua, senza conoscere gli usi e i costumi di quel popolo. “…Durante le settimane che ho trascorso in Marocco, non ho tentato di imparare né l’arabo né alcuna delle lingue berbere. Non volevo perdere nulla della forza di quelle strane grida. Volevo essere colpito da quei suoni per ciò che essi erano, e non volevo che nulla fosse attenuato da cognizioni inadeguate e artificiose. Sul paese non avevo letto niente. I suoi costumi mi erano estranei come la sua gente. A ciascuno capita di imparare nel corso di una vita qualcosa su tutti i paesi e su tutti i popoli, ma quel poco lo smarrii nelle prime ore…”
Il suo è dunque un tuffo nell’ignoto. Egli si lascia andare al flusso delle voci di Marrakech, regalandoci una visione quasi intima del rapporto che si crea con la realtà avvincente dell’antica capitale imperiale marocchina. Canetti non è turista ma viaggiatore; egli descrive la sua interazione personale con la città, con i suoi ambienti e la sua gente, il confronto con un mondo differente colto in tutta la sua bellezza, la sua dignità ed il suo equilibrio.
Lo scrittore ci restituisce la visione di un paese vibrante di luce, di suoni e di colori, complesso ed ammaliante. Sono delle istantanee di vita di una città bellissima quelle che ci regala:il Magreb nella penna di Canetti è multiforme, avvincente, colorato nelle stoffe e incredibile in ogni spezia, un caleidoscopio proteiforme ben diverso da un’Europa monocromatica ;e in quell’Africa sconosciuta ma non estranea, anzi intimamente così vicina da diventare alla fine una parte di se stesso, qualcosa da portare con sé al ritorno, Canetti si sente a casa, nonostante la distanze e le diversità;“..gli altri, la gente che ha sempre vissuto là e che non capivo, erano per me come me stesso…”.
Anche se il libro è stato scritto più di cinquanta anni fa, offre un ritratto ancora oggi molto vivo di Marrakech e rimane una guida fedele per ogni viaggiatore o lettore attento e curioso. Lo stile del racconto è rapido, per offrire l’immediatezza delle immagini; esso ha la perfezione e la compattezza dell’istantaneo.
Silvia Mangieri
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