Il 18° Vampiro (2009, Gargoyle Books), Il 36° Giusto (2010) e L’ora più buia (2011) sono i tre romanzi con cui Claudio Vergnani, modenese, è diventato uno degli autori italiani più apprezzati dagli amanti del genere horror.
L’avevamo detto già per I vivi, i morti e gli altri, tuttavia, che il genere, nel suo caso, è solo un contenitore per non dire un pretesto: un modo per mettere i libri sugli scaffali giusti della libreria per coloro che sono maniaci dell’ordine. Gli archetipi del genere horror sono i solidi pali di fondamenta di una costruzione narrativa complessa, stratificata, introspettiva e spesso sofferta. Come i suoi protagonisti: individui che la vita ha respinto ai margini, cacciatori di vampiri per necessità, antieroi alle prese con le loro dipendenze, la loro solitudine e un malessere interiore che fa più male a chi legge di quello emerge dalle pagine durante le loro sortite in sotterranei, casali diroccati, cisterne abbandonate, antichi cimiteri monumentali: fatiscenti rifugi di esseri patetici e pericolosi, spietati e tormentati dalla sete.
I vampiri di Vergnani non hanno niente di attraente, non brillano al sole come statuine di cristallo Swarovsky, non si dedicano a colti passatempi per occupare il troppo tempo libero, non dedicano la loro vita al prossimo cercando in ciò una redenzione impossibile. I vampiri di Vergnani fanno paura e, diciamolo pure, anche parecchio schifo: perdono pezzi di sé stessi per strada quando camminano, emanano un odore nauseabondo di corruzione, colano liquidi organici e sangue marcio da ogni orifizio; sono davvero ributtanti. Alcuni no, alcuni sembrano quasi umani, ma tutti, indiscriminatamente, uccidono esseri umani per succhiare loro il sangue. La sete (e il pensiero della sete) è tutto ciò che sta tra il momento in cui si risvegliano dal sonno diurno e quello in cui riescono a soddisfare questo loro bisogno pressante. Niente ninne nanne al pianoforte, per questi vampiri; solo l’atroce, straziante tormento della sete. E forse per questo, alla lunga, finiscono per ispirare persino un po’ di pena. Alcuni cercano di conservare una parvenza di comportamento umano, altri vi si accaniscono, ma restano comunque intrappolati in ciò che sono diventati. Creature del buio, predatori. Efferati assassini con un osceno gusto del macabro.
Dall’altra parte ci sono loro, i nostri (anti)eroi. Sono protagonisti ai quali è impossibile non affezionarsi, anche se di tenero e amorevole non hanno niente. Claudio è un uomo sull’orlo di abisso che sembra essere senza fondo fatto di disperazione e di solitudine, coraggioso a modo suo, leale, un leader imperfetto e pieno di dubbi, che combatte il suo male di vivere a colpi di ansiolitici, scacchi e letture delle più variegate. Vergy è una sorta di Aiace Telamonio dei nostri tempi sgangherati, una forza della natura, una massa d’urto inarrestabile che inveisce sui vampiri a colpi di mazzetta da carpentiere, dotato di un eloquio che dire volgare è dire poco. E poi ci sono gli altri: l’amica, che guida e finanzia il gruppo di ammazza vampiri; Gabriele, lo scrittore del gruppo, scacchista, anche lui con pesanti problemi di dipendenza da farmaci; Elisabetta… ecco, lei merita un discorso a parte, perché in questo personaggio emerge più ancora che in altri tutta la straordinaria abilità di Vergnani di tratteggiarne di indimenticabili. Elisabetta è descritta come una bellissima ragazza, perennemente a caccia di emozioni forti, animata da un coraggio che sfiora e spesso sconfina nell’incoscienza; ninfomane per sua stessa ammissione, non disdegna il sesso di gruppo coi suoi compagni e non perde occasione per farlo più o meno con chiunque le capiti a tiro che giudichi almeno un po’ interessante. Eppure, nella sua condotta sessuale disinvolta c’è come una sorta gaiezza spensierata, una dolcezza quasi infantile e una capacità di trasmettere affetto e calore umano ai suoi compagni tali da annientare ogni giudizio morale da parte del lettore.
Sono questi, i cacciatori di vampiri che ci propone Claudio Vergnani. Armati del loro coraggio – chi più chi meno – di paletti e più avanti di fucili automatici, affrontano l’oscurità e gli incubi che contiene perché non hanno scelta, perché quando si è in ballo – piaccia o no – bisogna ballare, perché qualcuno deve pur farlo e questa volta è toccato a loro. In questo gruppo di sgangherati c’è una lealtà di fondo che è commuovente. Tutti insieme attraversano l’orrore che si delinea sempre maggiore mano a mano che si voltano le pagine uniti da quel sentimento, che a tratti potrebbe sembrare la disperazione dettata dalla solitudine, ma che è lealtà vera. Non si possono non amare, non si può non soffrire insieme loro, non si può non ridere delle battute di Vergy, dei suoi dialoghi a volte surreali con Claudio e con Gabriele.
Se cercate un horror che metta paura accomodatevi, perché non resterete delusi. Di tensione ce n’è quanta ne volete. Ma se cercate qualcosa di più, in un libro, allora Vergnani rappresenta a mio giudizio una scelta obbligata.
L’ho già detto altrove, che costui è un autore che una volta incontrato non si può più ignorare. Lo ripeto qui, con una convinzione ancora maggiore. E altri tre libri sui ripiani della mia libreria che per fortuna, non è ordinata per genere.
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