Abbiamo incontrato Alessandro Sironi autore del libro “Lettere a Marie Goddet”, un romanzo dalle mille sfumature, che ci racconta il fascino di luoghi conosciuti ma visti con occhi indiscreti. Ma che, soprattutto, ci cala nelle pieghe di un amore romantico e profondo.
Da dove arriva l’ispirazione per scrivere questo romanzo?
Per gioco e per destino.
Due anni prima di cominciare il romanzo avevo immaginato di scrivere una lettera a Juliette Binoche, celebre attrice francese con la quale ho da sempre avvertito un legame misterioso.
Nella lettera, che già aveva il piglio dello spunto letterario, mi dichiaravo come il suo “uomo ideale”. Quelle poche righe, che non avevo certo intenzione di inviare veramente, sono poi rimaste in un cassetto per un paio d’anni. Dopodiché, durante il Covid, la lettera è riapparsa e mi sembrava un’ottima idea per una storia. Questo il gioco.
E il destino?
Credo che ogni storia che si desideri raccontare sia un messaggio che ci arriva dalle nostre profondità. Un messaggio che vuole essere rivelato, e che forse può rivelare qualcosa anche in tante altre persone. Credo sia il caso di questo romanzo.
La storia ruota intorno a un mistero: siamo di fronte a una storia d’amore o a un thriller?
Entrambi.
È una storia d’amore, certamente, poiché racconta di due persone molto diverse, per non dire opposte, che sono destinate a entrare in contatto in modo fragoroso. E cos’è l’amore se non una forza che vuole unire ciò che è lontano? Ma non è un romanzo rosa, o sentimentale. E non solo per alcuni sottotemi nascosti nella narrazione, ma anche per l’elemento della suspense, che lo rende una sorta di thriller. Entrambi i personaggi, infatti, vivono costantemente in tensione. Da un lato abbiamo un uomo che attende la risposta della vita, dall’altro una donna che è nell’atroce dubbio se rispondere alla chiamata o rifuggirla. Per entrambi è questione di vita o di morte. Eros e Thanatos.
Cosa ci può raccontare della protagonista del romanzo?
Marie Goddet è una celebre attrice al culmine della carriera che ha tutto, e che può essere tutto, per via di un mestiere che la porta a incarnare una miriade di personaggi della commedia umana. Ma fuori dal cinema è un nulla, non ha una vita sua. Tutto e nulla allora diventano per lei due abissi a cui manca la via di mezzo, un “qualcosa” che la renda autenticamente un “qualcuno”. Di notte sogna di avere le mani insanguinate, come nella nota scena di Macbeth, che infatti vuole mettere in scena e così abbandonare il cinema. Un annuncio di morte, o di qualcosa che in lei è sempre stato morto.
In questa crisi profonda arriva la lettera di un uomo che forse potrebbe essere la vera risposta al suo vuoto.
Quanta paura abbiamo di andare in profondità, scoprire e rivelare i nostri stessi segreti?
Il tema dell’identità è il nucleo problematico dell’essere umano. Ed è il tema del romanzo, tutto contenuto nella sfida che Matthieu porta come dote per la sua amata. Matthieu crede di conoscere la vera identità di Marie, sepolta sotto i mille veli che il mondo le ha costruito addosso.
Siamo ciò che siamo o siamo altro?
È il tema di tutti, e dunque anche di Marie, in cui ognuno si può identificare.
Ma togliere quei veli, e quindi svelare chi siamo e togliere le maschere, è cosa ardua perché significa che la parte in cui ci identifichiamo deve morire. In questo senso è vero che l’amore ravviva, ma per molti versi uccide, perché ci obbliga a far morire ciò che di falso abbiamo addosso. Alle volte è così difficile che spesso rinunciamo.
Infine, perché ha deciso di ambientare il libro a Parigi e in Francia?
Per due motivi: affetto e indole.
La Francia è una terra a me molto cara, sia perché vi ho vissuto per tanti anni, sia perché ho molti riferimenti culturali che mi accomunano: dalla musica, alla letteratura fino a un certo modo di porsi.
Inoltre ho sempre amato il cinema francese e se penso a un a storia tra persone, soprattutto dal carattere poetico e sentimentale, subito penso alla Francia come luogo ideale per far vivere i personaggi. Contemporaneamente so di essere un artista dell’altrove. Per scrivere ho bisogno di un luogo che non sia quello in cui vivo, lontano, anche posto in altre epoche. Un altrove che mi permetta di parlare di un luogo sconosciuto che è dentro di me. In questo senso la mia è sempre una scrittura mitica e quindi simbolica. Nel caso della Francia era un compromesso perfetto per una storia dallo stile realistico (perché conoscendola abbastanza bene non correvo il rischio di scrivere sciocchezze), ma non “mortificata” dalla realtà che ho attorno.
Lettere a Marie Goddet è disponibile su Bookabook.it.