Oggi abbiamo il piacere di parlare con Raffaele Cortellessa, medico, ambientalista e scrittore, impegnato con l’Associazione Wilderness alla protezione dei territori più integri del nostro paese.
Grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande, Dott. Cortellessa. La chiamo Dottore perché lei è anche medico, giusto? Come è nata l’idea di scrivere, ed è collegata in qualche modo al suo lavoro principale?
Sono un medico e l’idea del libro è maturata con il tempo. Scrivo per alcune riviste nazionali da quando avevo 17 anni e quindi non c’è un collegamento con il mio lavoro. E’ una passione che ho dentro. Il mio primo scritto è stato un racconto, poi ho continuato con argomenti di attualità e ancora racconti fino ad alcuni anni fa, quando ho sentito il desiderio di cimentarmi in qualcosa di più impegnativo. E’ stato allora che ho deciso di scrivere un romanzo.
Il tema del romanzo, potremmo dire, è la solitudine degli emarginati. Perché ha scelto di parlare di questo argomento? La storia si ispira in qualche modo ad una realtà che lei ha conosciuto
Ho sempre avuto curiosità per le persone che vivono sulla strada, per cui ogni volta che incontravo un clochard mi fermavo per scambiare qualche parola. Soprattutto mi incuriosiva il perché di quella scelta così forte e quale passato si celasse dietro ad ognuno di loro. Ero affascinato dall’idea di una vita condotta in totale libertà, al di fuori di ogni convenzione, di ogni vincolo civile, come potrebbe essere l’affitto di casa, il pagamento delle bollette del gas, della luce, dell’assicurazione o del bollo dell’auto.
Poiché ogni opera di scrittura nasce da un’urgenza, da un bisogno di comunicare qualcosa, le chiediamo qual era nel suo caso questo bisogno?
Il mio bisogno era quello di approfondire quel modo di vivere e conoscere la verità. Mi premeva sapere quanto quelle persone fossero felici di vivere sotto le stelle, se la strada era in qualche modo una scelta di vita o un abisso nel quale erano precipitati. Volevo entrare in quel mistero e cercare di capire. Per questo motivo mentre stavo scrivendo il romanzo ho avuto la necessità di stare un po’ insieme ai clochard. Tra l’altro dovevo sviluppare dei dialoghi tra barboni e non sapevo se queste persone vivessero anche in gruppi ed eventualmente quali fossero le loro argomentazioni. Così ho trovato crocchi di barboni, mi sono presentato dicendo che stavo scrivendo un libro su di loro e sono stato accolto molto bene. Ho conosciuto tante persone, che poi sono diventati i personaggi del mio romanzo. Devo dire che le loro storie di vita, il loro passato, le loro sconfitte, i loro sogni nascosti hanno arricchito anche me oltre che darmi degli spunti reali per il romanzo.
Noi viviamo in un mondo di colori, di affetti, di profumi ,di convenienze ed è difficile capire chi invece vive nella “notte”. La notte è il lato oscuro della vita, una vita senza luce e di conseguenza senza colore; una vita in bianco e nero, senza gioia, un’esistenza dai cattivi odori, deragliata e divorata dalla solitudine. Ma a tutti può capitare di trovarsi in situazioni imprevedibili, di precipitare, di toccare il fondo, come d’altronde succede al protagonista del mio romanzo.
Quello che voglio comunicare nel libro è che nella “notte” si può far sbocciare un fiore e si può far nascere una straordinaria bellezza e anche una grande forza . E questo è quello che succede al protagonista, un professore di liceo che dopo aver commesso una grave colpa si riversa sulla strada. Ma paradossalmente è proprio sulla strada, nei panni del barbone monsieur Doulen, che avviene la sua rinascita interiore. Egli comprende che nella propria giovinezza non ha saputo avere un equilibrio e la sua anima si riempie di quei valori e di quell’amore che prima non aveva saputo né dare, né apprezzare. E’ nella solitudine della strada che egli ritrova la sua vera essenza.
Pensa che il tema ‘emarginati’ sia ancora troppo poco conosciuto? Cosa dovrebbe fare lo Stato in merito, e fino a che punto è giusto chiedere ai cittadini un contributo?
L’emarginato è tale perché noi lo emarginiamo. Prima di conoscerli mi sentivo quasi sempre su un piano superiore quando li incontravo, poi addirittura ne ho trovato qualcuno che mi ha messo in difficoltà dal punto di vista culturale ….
Il migliore contributo che i cittadini potrebbero dare penso sia quello di fermarsi quando vedono un barbone e scambiarci qualche parola, offrirgli un cioccolatino o una sigaretta, insomma trattarlo da essere umano e non ghettizzarlo. Mi rendo conto che non è facile, come non lo è stato per me, ma donare loro un po’ di affetto è il migliore modo per far uscire quegli uomini e quelle donne dall’isolamento e per sperare poi in una loro reintegrazione sociale. Anche lo Stato potrebbe fare molto, inserendoli magari nelle case famiglia.
Lei è anche vicepresidente dell’associazione italiana Wilderness, attiva nella protezione di aree naturali nazionali. Pensa che l’amore per la natura vada di pari passo con il rispetto per gli uomini, in particolare per gli ultimi?
L’Associazione Wilderness tutela i territori rimasti ancora integri, selvaggi, dove non vi sono opere dell’uomo. In Italia abbiamo circa 70 Aree Wilderness. C’è molta attinenza tra Wilderness e clochard in quanto la vita di questi ultimi è un po’ un ritorno ad un’esistenza primordiale. Sicuramente nella scala delle priorità viene prima il rispetto e la tutela degli uomini, di tutti, compreso i barboni, e poi quello per la natura, però riflettendo bene le due cose sono complementari. L’uomo non potrebbe esistere senza la presenza degli spazi naturali, non solo per ragioni fisico -chimiche , ma soprattutto perché abbiamo bisogno di immergerci almeno ogni tanto nella bellezza di una valle montana immacolata, di godere del suo silenzio, della sua armonia, di ascoltare il mormorio rilassante delle acque di un torrente, di camminare nel bosco su un tappeto di morbide foglie mentre si sente squillante il richiamo del picchio o magari si resta sorpresi dalla vista di uno scoiattolo che salta con eleganza da un ramo all’altro.
L’armonia della natura è un bisogno assoluto del nostro spirito.
Penso che per sensibilizzare le persone, le amministrazioni locali o lo Stato, nei confronti della natura incontaminata e verso i clochard, occorrono le Associazioni di volontariato che, come l’Associazione Wilderness, si impegnano a far conoscere a tutti l’importanza di queste tematiche.
Fai sbocciare un fiore nella notte è il suo primo romanzo; pensa di continuare con questa esperienza?
Si, anche se come medico e come ambientalista non ho molto tempo libero e per scrivere ne serve molto. Ma è pur vero che se c’è la passione si fa anche l’impossibile. Attualmente sto curando un diario di guerra dei miei genitori. Mio padre nel 1943 è stato deportato per circa due anni in Germania, dove è stato schiavizzato e ha sofferto la fame fino a rischiare di morire, ridotto al peso di 37 chili, mia madre invece, nel suo paese, ha dovuto dividere la sua abitazione con la Quinta Armata americana comandata dal generale Clark.
Cosa ha imparato in questi mesi sul mondo editoriale? Pensa che anche una realtà piccola e locale possa emergere, o che solo i grandi nomi siano destinati a finire in libreria?
Penso che il valore letterario di un libro non vada di pari passo con quello commerciale. Presentare un libro in una trasmissione della Rai o la recensione su un giornale nazionale importante significa vendere decine di migliaia di copie e pochi riescono ad avere un tale privilegio. Arrivare ad avere un nome è stato sempre difficile, anche ai tempi di Jack London, ma non per questo occorre buttare la spugna e lui ne è un esempio valido.
La passione e la perseveranza sono le migliori armi per arrivare al traguardo.
Infine, ha scritto questo libro pensando ad un lettore in particolare? Chi avrebbe bisogno di saperne di più sull’argomento di cui Lei parla?
Mentre scrivevo il libro non pensavo a chi poi avesse avuto interesse a leggerlo. Ci ho pensato quando è stato pubblicato. Questo argomento penso sia interessante per tutti coloro che hanno come me curiosità per il mondo dei clochard in quanto per i personaggi del libro mi sono ispirato ai barboni che ho realmente conosciuto e nel libro ho trasportato anche il loro modo di vivere, le loro sofferenze, i loro sogni segreti.
Il libro del dott. Cortellessa nel 2013 ha vinto i seguenti Premi letterari: Premio Cesare Pavese, sezione narrativa edita medici scrittori; Premio Franz Kafka Italia, secondo classificato; Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica, primo classificato; Premio Letterario Nazionale Città di Rimini, quarto classificato; Premio della Giuria nel Concorso Città di Parole; Concorso Internazionale di Poesia e Narrativa Insieme nel Mondo, quarto classificato.