Oggi ospitiamo Giovanna Repetto, che, nata a Genova il 12.11.45, risiede a Roma dove svolge la professione di psicologa. Per circa trent’anni ha lavorato in un servizio pubblico per le tossicodipendenze, in una località dei Castelli Romani. Dal 1992 è redattrice della rivista letteraria IL PARADISO DEGLI ORCHI. Ha pubblicato i romanzi:
La banda di Boscobruno (Mobydick, 1999), premio Selezione Bancarellino 2000
Palude, abbracciami (Mobydick, 2000), premio Navile-Città di Bologna 2000
La gente immobiliare(Mobydick 2002)
Cartoline da Marsiglia(Mobydick 2004)
Oggi parliamo con lei del suo ultimo libro L’alibi della vittima, edito da Gargoyle
Salve signora Repetto, e grazie per avere accettato di rispondere alle nostre domande. L’alibi della vittima è il suo secondo romanzo, dopo Cartoline da Marsiglia del 2004, giusto? Cosa l’ha spinta a riprendere la scrittura dopo dieci anni?
Riprendere la scrittura?! Non ho mai smesso di scrivere. Ho iniziato L’alibi della vittima nel 2002 e l’ho finito nel 2011. Non avevo fretta, ero in buona compagnia. Comunque non è il secondo: i miei romanzi sono quattro. Cartoline da Marsiglia è il seguito di un altro romanzo, La gente immobiliare, edito nel 2002. E nel 2000 era uscito Palude abbracciami!, un romanzo di fantascienza vincitore del premio Navile di Bologna. Ho scritto anche un romanzo per ragazzi, La banda di Boscobruno, che nel 2000 è stato fra i cinque finalisti del Bancarellino.
L’ambientazione del libro è realistica? Ha scelto di parlare di luoghi che conosce bene?
Tutti i luoghi del romanzo sono significativi. Rocca Persa è una cittadina dei Castelli Romani, immaginaria ma rappresentativa della zona in cui svolgevo il mio lavoro. Genova è la mia città d’origine, e vi sono riferimenti autobiografici. Il litorale pontino è un luogo che amo molto, in cui provo delle emozioni.
Possiamo definire L’alibi della vittima un giallo “classico”? O c’è qualcosa di più nella trama oltre alla semplice indagine per scoprire chi è l’assassino?
Di classico c’è l’obiettivo di creare un congegno difficile da scardinare: in questo sì, sfido il lettore fino all’ultimo minuto. Ma all’origine del romanzo c’è anche un altro elemento, che è lo spunto nato dalle mie esperienze di lavoro.
Crede che il genere giallo sia ben rappresentato in Italia? A quali grandi giallisti del passato o del presente si ispira?
Trovo sempre un po’ riduttivo costringere la letteratura nei ‘generi’. A un romanzo chiedo prima di tutto di essere un buon romanzo. Si scoprono così tante cose, leggendo un buon romanzo, che la scoperta dell’assassino diventa quasi secondaria. Leggo troppo disordinatamente per poter dare un giudizio sullo stato dell’arte in Italia. Mi pare comunque che il panorama sia abbastanza vario e vivace. Non mi ispiro ad alcun ‘giallista’ in particolare, anche se in gioventù ho spaziato da Agatha Christie a tutti i classici del genere, senza escludere la produzione cinematografica, con una predilezione particolare per Hitchcock. Senza contare perle come “I diabolici” di Clouzot. Più che riferirmi a un modello, mi alleno praticando l’enigmistica. Per quando riguarda la scrittura, penso che ci sia sempre da imparare leggendo i grandi autori del novecento: è come educare l’orecchio alla musica.
Perché ha scelto il tema della tossicodipendenza e dello spaccio? Crede che i media parlino poco dell’argomento, che sia passato un po’ in secondo piano?
E’ vero, ora se ne parla meno, l’attenzione sembra polarizzata su altri problemi. Ma questa realtà continua a essere fonte di gravi sofferenze individuali e sociali. Io ho lavorato per trent’anni come psicologa in un servizio pubblico per le tossicodipendenze, dove ho conosciuto situazioni molto drammatiche. Da qui è nato lo spunto per il romanzo.
Cosa ci può dire della sua esperienza nel mondo dell’editoria? Consiglierebbe ad un giovane di intraprendere la carriera di scrittore?
Fare lo scrittore oggi in Italia è come praticare uno sport estremo: se c’è la passione corri qualunque rischio.
Come decide il comportamento dei suoi personaggi? Ha l’impressione di guidarli lei, o che ad un certo punto prendano vita propria?
Appena un personaggio ha preso un certo spessore, assumendo caratteristiche precise, comincia muoversi in modo autonomo. Non prevedo in anticipo le loro mosse. Li metto in una certa situazione e li lascio fare. A volte sorprendono anche me, fanno cose che non mi aspettavo. Ci sono anche personaggi che sono entrati in scena come comparse, solo per compiere una piccola azione, e poi si sono imposti, hanno preteso un loro spazio e sono diventati importanti.
Prima di diventare scrittrice, cosa faceva nella vita Giovanna Repetto? Considera la scrittura la sua attività principale?
Non parlerei di ‘diventare’ scrittrice. Mi sono semplicemente accorta di esserlo. E’ prima di tutto una disposizione interna, l’impulso a raccontare e descrivere attraverso la parola scritta. Ne sono diventata consapevole quando avevo circa nove anni, anche se i miei strumenti non erano ancora maturi. Tuttavia la scrittura non è mai stata la mia attività principale. Se non avessi altre attività, di che cosa potrei scrivere?