Catanese di origine, Emanuela Abbadessa (autrice di Capo Scirocco, recensito qualche giorno fa), vive a Savona; ha insegnato Storia della Musica e Comunicazione Musicale alla Facoltà di Lingue dell’Università di Catania ed ha all’attivo numerose pubblicazioni specifiche. E’ stata ricercatrice della Fondazione Bellini ed è collaboratrice del quotidiano “La Repubblica” (ed. Palermo).
Intervistandola, la prima domanda in relazione al romanzo è d’obbligo.
D: Cos’è la musica per te e non uscirtene con la semplice risposta “Tutto”
R: Non lo farò perché mentirei. La musica ha fatto parte e fa parte della mia vita e, come mi insegnò mio marito che è stato anche il mio maestro, nel mondo della musica si deve far tutto. Così è stato per me che l’ho studiata, suonata, cantata, insegnata ma che ho anche lavorato nel mondo della musica a tutti i livelli: dalla biglietteria alla collaborazione con teatri prestigiosi. Ma per definire il mio rapporto con la musica vorrei usare una frase di donna Rita, la protagonista del mio romanzo: con la musica mi sento un’amante tradita. Che poi è anche il solo tratto autobiografico che ho concesso a questo personaggio. Quando alcuni anni fa la mia vita andò in pezzi, finii con l’incolpare la musica e per molto tempo mi limitai a trattarla a distanza, solo nell’ambito lavorativo. Il recupero “emozionale” della musica è legato a Capo Scirocco. E direi che è stato un buon modo per riconciliarci.
D: Anche l’amore è protagonista assoluto di Capo Scirocco pertanto ti chiedo cos’è l’amore per te e soprattutto raccontaci cosa ha fatto Ersilia per amore.
R: L’amore, la passione credo siano il motore di tutto. Sono una donna molto razionale ma con una fortissima carica passionale e dunque posso dire che le scelte più importanti della mia vita sono state determinate dalla passione. Faccio dunque tutto per amore e non dico con questo che l’amore sia sempre un buon consigliere, anzi. Ma tutto ciò che ho fatto, errori compresi, lo rifarei di nuovo.
D: Com’è nato Capo Scirocco?
R: E’ nato dalle mie memorie familiari in senso lato. Il nucleo iniziale della vicenda mi è stato ispirato dalla storia di mio suocero che aveva una garbata voce di tenore e che lasciò la casa paterna (a Caltagirone) per andare a Catania a cercare fortuna, diplomarsi e studiare canto. Poi, naturalmente, il resto della sua vita fu del tutto diverso da quello del mio protagonista ma la prima ispirazione mi viene da lì. A questo aggiungerei le memorie delle mie due famiglie: quella materna, originaria di Subiaco che è il paese natale del mio protagonista (al quale ho dato infatti lo stesso nome del bisnonno materno, Luigi Fumini) e quella paterna, una famiglia della buona borghesia palermitana alla quale devo tutto il breviario delle buone maniere racchiuso nel romanzo.
D: Come mai scelto di ambientare la storia nella Sicilia del tardo ottocento dandogli la struttura del romanzo classico, ricco di atmosfere e soprattutto, riproponendo il classico triangolo d’amore lui, lei, l’altra? Indubbiamente è stata una mossa ardita anche se vincente.
R: Credo che si debba scrivere ciò che si conosce e penso di conoscere la Sicilia abbastanza bene per poterla descrivere. La scelta temporale è nata dal fatto che volevo giocare con una lingua ricca e l’ambientazione fine secolo me ne ha dato la possibilità. La struttura classica invece deriva da un mio convincimento: penso che il romanzo, nella sua forma codificata dalla tradizione, abbia ancora qualcosa da dire. Quanto al triangolo amoroso nasce soprattutto dal mio desiderio di giocare con i temi del melodramma ottocentesco dentro il quale i miei protagonisti cadono loro malgrado e a volte addirittura sentendosi ridicoli nelle maglie di certe situazioni estreme. Ma, d’altra parte, quante volte anche a noi è successo di trovarci imbrigliati in situazioni “melodrammatiche” alle prese con passioni “sopra le righe”? A me è capitato e credo possa succedere a tutti.
D: Una delle cose che ho amato di più in Capo Scirocco è stato il fruscio della seta con le sue perfette ambientazioni salottiere e aristocratiche della Sicilia del tardo ottocento. Ritengo ci sia stato un forte lavoro preparatorio dietro a tutto questo. Vuoi parlarcene?
R: Studiare gli usi dell’Ottocento, gli abiti soprattutto, gli ambienti è stato esaltante e anche impegnativo. Ho letto molto, ho recuperato dalla memoria i racconti della nonna paterna della quale porto il nome, Ersilia appunto, e ho cercato di calarmi all’interno dei salotti, delle stanze da letto. A volte per superare la difficoltà di una descrizione ho fatto ricorso agli amici più anziani che non erano certo vivi a fine Ottocento ma che avevano memoria dei racconti delle madri e delle nonne. E’ stato quasi un viaggio nel tempo e, con mia sorpresa, mi sono trovata benissimo in quell’altrove.
D: Personalmente vedrei bene una riduzione cinematografica di Capo Scirocco, e allora, tanto per sognare, spara un po’ di attori per la parte dei protagonisti.
R: La domanda mi diverte perché in molti mi hanno detto che Capo Scirocco si presta ad una riduzione cinematografica o televisiva. Ammetto che ad un certo punto, sul finire della prima stesura, ho provato ad immaginare i miei personaggi e a dare loro volti di attori noti. L’impresa non è stata semplice direi. Ma dato che mi chiedi i nomi, eccoli ma è solo un gioco: Rita, forse Monica Bellucci; Annuzza Cristiana Capotondi; Mimì, Alessandro Preziosi; Cettina, Lucia Sardo. Buio totale su Luigi, non sono riuscita a dargli un volto già noto; mentre non ho dubbi su don Calogero Di Dio, Gilberto Idonea grande attore siciliano capace, come il geniale Angelo Musco, di passare dal comico al tragico con maestria unica. Stefania Motta sarebbe stata perfetta per la compianta Mariella Lo Giudice, un’attrice di enorme statura che dolorosamente non è più tra noi.
D: E se Capo Scirocco fosse un’opera lirica, da chi la faresti dirigere? E con quali cantanti?
R: Ancora più difficile. Abbado sul podio. E taccio sui cantanti. Non sono mai stata brava a sciorinare nomi di interpreti.
D: E tu quale ruolo faresti? E perché?
R: Beh, Rita Agnello è chiaro! Sono vedova e agée. Anche se più grande di Rita che ha 38 anni credo che i 38 di allora possano essere considerati i 48/50 di oggi.
D: Cosa ti ha divertito di più mentre lavoravi sul romanzo?
R: Trovarmi la casa piena di gente: tutti i miei personaggi mi si presentavano davanti, li vedevo muoversi, dire qualcosa, sistemarsi il vestito…
D: Cosa non ti sei fatta mai mancare quando scrivevi Capo Scirocco?
R: Il caffellatte! Credo di averne bevuto almeno un litro al giorno.
D: Stai già lavorando al prossimo romanzo? Puoi darcene un’anticipazione?
R: Ho sempre scritto, anche se questa è la mia prova nel campo della narrativa, e dunque continuo a farlo. Scrivere è una condizione essenziale della mia dimensione comunicativa. Ho in mente una storia e ci sto lavorando ma non perché penso ad un prossimo romanzo, semplicemente perché, come diceva mio marito a proposito degli esercizi di armonia, bisogna farlo sempre in modo che “la mano ci vada da sola”. Per non perdere l’allenamento insomma. E perché tenersi compagnia scrivendo è una delle cose più appaganti che si possa fare.
D: Grazie Emanuela, salutaci con un tuo sogno.
R: Che i lettori di Capo Scirocco si divertano a leggerlo e chiudendo l’ultima pagina del libro sentano un po’ di nostalgia.
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