Se dico “Caleb Battiago”, qual è la prima cosa che vi viene in mente? Scommetto che è “Naraka. L’inferno delle scimmie bianche”, controverso e antropofagico romanzo di fantascienza distopica che ha fatto molto discutere. Ricorderete il tormentone, che ha martellato a lungo sui social e sul resto della rete: “Delirante come Burroughs, visionario come Dune, sanguigno come Barker. Uno spettacolo continuo.” Parole di Paolo Di Orazio, che insieme alla prefazione firmata da Alan D. Altieri hanno creato molta curiosità e aspettativa attorno a quest’opera e al suo autore.
Di Naraka si è detto tanto, si è detto tutto e il contrario di tutto, come pure del suo autore Caleb Battiago (nel frattempo svelatosi nella sua vera identità di Alessandro Manzetti): scrittore molto prolifico, che dalla sua prima apparizione a oggi ha sfornato un bel po’ di titoli, alcuni sotto l’egida Mezzotints Ebook – Naraka, Acrux e Shanti – e altri, come i recenti Mictlan. Doppio Inferno, Vessel. Orrore in Terrasanta, Parigi Sud V e Limbus in forma di autore indipendente, Caleb ha accettato di parlare con noi di WLibri e di raccontarci un po’ di lui e della sua scrittura.
D: Ciao Caleb, benvenuto su WLibri. L’ho detto in apertura del pezzo, che su di te e suoi tuoi libri si è detto molto: tutto e il contrario di tutto. Perché non ci dici qualcosa che ancora non è stato detto? Sorprendici!
R: Vediamo, dovrei rispondere con qualcosa di brillante, per non deluderti, i miei anelli purtroppo non sono di dilitio ma in semplice argento terrestre, roba che scintilla poco. Uhm, ecco: ho un tatuaggio sulla spalla, la scritta Naraka in caratteri sanscriti. Questo non è stato mai detto. Sull’altra spalla invece c’è da tempo incisa una salamandra. Ma fidandomi delle storie di Plinio, ho voluto sperimentare se questo splendido anfibio fosse davvero capace di passare indenne nel fuoco. Ebbene: mi sono banalmente scottato la pelle, niente magie. Che delusione.
D: Io e te ci siamo conosciuti tramite social network, nel corso di una discussione a più voci che verteva proprio su Naraka. A distanza di quasi un anno dall’uscita del romanzo, guardandoti indietro, che giudizio dai di quella storia? Quali sono i tuoi sentimenti verso di essa?
R: Naraka rappresenta l’apertura del mio vaso di Pandora, che è bello grosso, pieno di roba. Ha la forma di un grosso water. Credo che questo romanzo possa essere compreso appieno leggendo le altre opere, connesse da un cordone ombelicale storico–antropologico-esistenziale che dal futuro fa poi retromarcia. Un flusso narrativo composto da tre anelli, da membrane alternate: gli archetipi religione, sesso, cibo (antropofagia), che si fondono dandosi spesso il cambio.
Naraka ha avuto un ottimo riscontro sia dai lettori che dalla critica, sinceramente inaspettato, non è certo un romanzo scritto per piacere ai più, per accontentare tutti. Provoca, tocca corde fastidiose, mirate, è un romanzo figlio di puttana fino in fondo.
Qualcuno si è scottato le dita e non ha gradito, ma la grande maggioranza dei lettori è ancora molto affezionata a quest’opera. Le lettrici femminili si sono manifestate come le fan più facinorose di Kiki & Co. Anche questo non l’avrei mai detto, per un romanzo scritto senza filtri, dove la violenza, il sesso e altri elementi “forti” sono in bella vista, inquadrati senza tante metafore e giri di parole. Senza contare le connessioni storiche, letterarie e artistiche sfuggite a più di qualcuno.
Il mio giudizio di Naraka, come autore, è critico come sempre: è il primo romanzo che ho scritto, cambierei alcune cose, forse. Ma l’idea e il modello narrativo si sono dimostrati dirompenti, nel bene e nel male, hanno dato il via a tutto il resto. Un libro che non è rimasto in silenzio nel sottobosco delle tante opere anonime, che ripetono il solito rosario. In questo romanzo nasce uno dei miei personaggi più conosciuti, Kiki, sono molto legato al testo che l’ha vista materializzarsi dal nulla. Che splendida tigre è venuta fuori. Naraka è questo per me.
D: Con Naraka è iniziato un ciclo narrativo e si sono gettate le basi di un universo narrativo affascinante e ricco di spunti. Hai mai pensato di aprire, un giorno, questo universo ad altri autori?
R: Alcuni autori di genere, molto conosciuti e apprezzati (senza fare nomi), mi hanno chiesto di partecipare al progetto Naraka, di scrivere episodi o sequel. Ma io sono un tipo geloso, ti ho detto prima della mia Kiki, per cui ho voluto continuare a navigare solitariamente. Le acque sono le mie, conosco i margini e le profondità. Ma ci sono anche altri motivi per aver escluso un progetto corale.
Il progetto complessivo è molto ampio e variegato, basta guardare i titoli successivi. Interventi esterni lo avrebbero guidato su binari diversi, considerando Naraka come titolo a se stante e non come parte di un continuum che si sviluppa balzando dal futuro al passato. Un flusso che affronta gli elementi basici della natura umana, dedicato ad aprirgli il ventre per fare dare un’occhiata, dentro, al lettore. Tagli diagonali, netti.
Impossibile affidare il mondo di Naraka ad altri autori di genere, anche se si tratta di eccellenti narratori. L’approccio alla narrativa di genere è troppo ridotto all’immediato, alla componente di intrattenimento, troppo attento a farsi amici i lettori, smussando tutti gli angoli per mettere d’accordo la massa. Niente calci nelle palle, troppe carezze, insomma.
Ma soprattutto l’approccio di molti colleghi alla narrativa di genere non prevede una vera “comunicazione”, tantomeno una sinergia e connessione con altre arti, per una visione più ampia. Salvo qualche eccezione, la componente “letteraria” che riscontro è debole, l’unica in grado di traghettare il lettore verso riflessioni universali, non solo contro il muro di una esperienza emotiva, d’impatto, di breve durata.
Poi, visto che il sesso (insieme al concetto di Dio, chiunque esso sia, e al cibo, nella sua accezione più estesa) è uno degli elementi portanti del progetto, come della natura umana. Pochi autori sono in grado di approcciare questi temi senza cadere nei soliti goffi clichè. Anzi, mi correggo, solo poche autrici, che possedono i mezzi e la coscienza per esplorare questi temi. Non parlo di semplice eros, di scene di sesso fini a se stesse, spesso rese ridicole, serializzate e standardizzate. Insomma, quello che oggi viene propinato (molto superficialmente) da editori, che puntano sui facili guadagni, non certo sulla letteratura.
L’immaginario erotico, gli archetipi, le loro evoluzioni, sono qualcosa di molto profondo, parte essenziale di noi stessi. Naraka accenna qualcosa, inizia un percorso, ma è nel romanzo successivo, in Shanti, che metto in pratica, con una certa completezza, quello che penso sulla portata dell’elemento eros nella narrativa.
Il problema, per chiudere, è sempre lo stesso: ci si castra volentieri da soli, pensando che non sia possibile far divertire i lettori pur offrendo uno spettro emotivo di maggiore spessore.
Quindi, amico mio, resto da solo a costruire il mio mondo, con i mattoni da scaricare dalla carriola nera. Materializzo operaie nude, (con cosce lunghe), accanto a me, che mi danno una mano.
E non solo quella.
D: Sei stato per diverso tempo uno degli autori di punta Mezzotints. Oggi, invece, pubblichi le tue opere in forma di autore indipendente. Ti va di spiegarci i motivi di questa scelta? Non credo che uno come te faccia molta fatica a trovare una CE interessata a lui. O sbaglio?
R: In realtà non ho scelto di pubblicare solo in modo indipendente, ma di utilizzare entrambi i vettori di proposta sul mercato, continuando a pubblicare anche con alcune CE.
No, è vero, non faccio particolare fatica a trovare editori interessati, escludendo naturalmente i grandi gruppi, i soliti nomi, che pensano a ben altro, a roba commerciale (si vede cosa c’è in giro), ad accontentare i più, scontentando tutti alla fine. Questi non possono che vedermi come fumo negli occhi, neanche ci provo a propormi. Cosa dovrei rispondere ad agenti ed editori che ancora ripetono che “si deve proporre qualcosa di facile” Te lo dico cosa gli rispondo: Fanculo. La letteratura, quella vera, ha bel altra anima e ruolo.
Tornando a noi, quello della doppia proposta è un approccio che all’estero è ormai diffuso, non fa più notizia, anche se spesso coinvolge autori molto noti. Sono scelte, è chiaro, non ripieghi.
Credo che un autore non possa ignorare i vantaggi della produzione indipendente, se è in grado di supportarne tutti gli aspetti. Questo vale per il digitale, ovvio, mentre la produzione indie sul cartaceo non è certo applicabile.
Detto questo, ho recentemente pubblicato diversi titoli in modo indipendente, tramite Amazon, ma a luglio e dopo l’estate usciranno due titoli per la casa editrice Kipple, con la quale c’è un grande feeling. Persone competenti, appassionati. Continuerò a collaborare con CE di questo tipo e a produrre direttamente altre opere e progetti.
Presto sarà l’editore a dover convincere l’autore a non pubblicarsi autonomamente, visti vantaggi e svantaggi del caso. Ne riparleremo tra qualche tempo. Posso confidarti, che alcune opere, che ho voluto pubblicare autonomamente, erano state richieste da CE, oltretutto di ottima visibilità e diffusione. Mictlan, per fare un esempio, è un titolo di questi. Quindi la scelta e la strategia è chiara e dimostrabile.
Se ne facciano una ragione tutti quelli che ignorano la produzione indie, che pensano che sia roba di qualità scadente, rifiutata, da serie B. La realtà è che questi progetti vanno a toccare gli interessi di noti gruppi (parliamo di soldi) ma sono a favore dei lettori. Si, proprio a vostro favore, pensateci. Fregatevene della campagna denigratoria che viene portata avanti ad arte, per protezionismo, contro il self publishing. Scegliete voi, non fate scegliere gli altri. Rischiate due euro, non la vita, forse troverete in alcuni casi, cose molto più interessanti dei soliti minestroni che trovate in evidenza in libreria.
I comunicatori indipendenti (blog, portali, siti) dovrebbero rifletterci e aggiornarsi per primi, invece di ignorare a priori la produzione indie (se di qualità, ma basta accertarsene). Parlo di comunicatori davvero indipendenti, non guidati da CE, foraggiati da spiccioli e da copie pilota, che non hanno interesse a nascondere alcune produzioni che meriterebbero visibilità. Comunicatori che si dichiarano indipendenti che non supportano la produzione indipendente.
Basta leggere e selezionare le opere, più che continuare a fare pubblicità e comunicazione, senza filtro, a libri mai letti, solo perché pubblicati da CE importanti o con nomi prestigiosi stampati sulla copertina.
Ma, allo stesso modo, vanno seguite anche le CE che lavorano sulla qualità, i piccole e medi editori che continuano a proporre “letteratura” con grande fatica e investimenti personali.
Giusto per non essere male interpretato, questi sono argomenti scomodi per molti.
Mettiamola così: io non consiglierei mai un ristorante dove non ho mai mangiato, tantomeno scoraggerei qualcuno ad andarci, senza saperne nulla. Ma, sapendo come funziona, se ho voglia di mangiare bene, di godermi una bella cena, non mi affiderei mai ai pubblicizzati iper-locali da mille coperti, dove tanti si accontentano, pagando profumatamente la mediocrità standardizzata, contribuendo al budget pubblicitario che è stato speso per farli accorrere.
In quelle cucine non c’è tempo e modo per preparare con cura le pietanze. L’obiettivo non è la qualità, la selezione (costosa) delle materie prime. Bisogna solo fare i numeri e presentare il conto.
Preferisco dunque andare in un piccolo ristorante, magari non più di cinquanta coperti, lontano dal centro storico o da luoghi di interesse. So di potermi aspettare, se va bene, che la qualità sia al primo posto: devono farmi tornare, darmi un motivo per fare qualche chilometro in più, devono andare al sodo. Posti dove il padrone, o lo chef, ti raggiungono al tavolo e ti raccontano con passione le loro specialità, che sono sempre diverse. Niente standard del cazzo per ottimizzare i tempi. Niente preparati. La stessa cosa, per molti aspetti, vale anche per l’editoria. Siete nella vostra città, non fate la fine dei turisti da spennare facilmente.
D: Quali differenze (e quali difficoltà, eventualmente) hai riscontrato nel passaggio da autore di CE ad autore indipendente?
R: Come ti dicevo, per quanto mi riguarda non esiste questo passaggio, si tratta di una alternanza di proposta. Posso dirti che i riscontri sono stati ottimi sia per i progetti che ho pubblicato con CE che per quelli indipendenti. Sia in termini di critica che di vendite, di riscontro dei lettori. La mia produzione indie, che ho particolarmente rafforzato negli ultimi tempi, creando un piccolo catalogo, mi sta dando moltissime soddisfazioni, ben oltre le mie aspettative. Oltre ai risultati di vendita, ai numeri, si è creato un contatto diretto con i lettori molto affascinante e costruttivo. Un vero scambio. Forse in Italia non siamo così indietro come crediamo. Ma ci convincono del contrario, si rema sempre contro. Contro di voi.
D: Parlaci dei tuoi ultimi lavori, Mictlan. Doppio Inferno e Vessel. Orrore in Terrasanta. Entrambi hanno in comune uno sfondo storico di partenza. Cosa ti ha portato verso questa scelta?
R: Parlavo prima di un progetto narrativo complessivo, che si scompone in diversi titoli solo apparentemente sconnessi. Basta poco, credo, per comprendere il collegamento che lega tutte le opere, almeno quelle scritte come Caleb Battiago, comprese quelle che citi.
Il fil rouge è sempre la triade universale dio-sesso-cibo, alla quale nessuno di noi scappa, cosciente o incosciente, che viene raccontata approfondendo reali contesti storici che proiettata nel futuro, vedi altre opere ambientate nel distopico mondo narakiano.
Mictlan e Vessel sono delle finestre su eventi storici reali, ai quali vengono aggiunte sottostorie e personaggi. Si passa dall’impero Azteco alla prima crociata, gli elementi in comune sono chiari: il documentato antropofagismo, fondato su diverse esigenze e filosofie, la truffa del Dio giusto che viene imposto col sangue, tramite incredibili efferatezze, alle quali non serve aggiungere nulla. (a che servono i mostri, il sovrannaturale, quando abbiamo l’uomo?) il sesso come collante di archetipi, fuso con il cannibalismo e con la religione, la sacralità del corpo umano, dei riti, il collegamento con il Dio di turno, cercato tramite pratiche di sangue, antropofagiche.
Tutta roba testimoniata dalla storia, certo non quella sommariamente raccontata nei manuali di storia da liceo o dai clichè imposti dalle varie culture. Basta cercare le fonti dirette, disponibili a tutti. Approfondire, voler sapere davvero come è andata.
Mictlan e Vessel, pur essendo titoli di serie diverse (Naraka World e Cannibal Crusade), convergono puntualmente sulle principali filosofie di comunicazione che tengono in piedi il mio progetto narrativo. O meglio, quello di Caleb Battiago.
Mictlan è un titolo particolare, caratterizzato dalla scelta della doppia ambientazione storica: Tenichtitlan ai tempi di Cortes e la apocalittica Mexico City del 2277. Un esempio di fusione di passato e futuro nello stesso titolo, collegamenti vivi e vegeti nonostante un salto temporale di oltre 750 anni. Cose che non cambiano, che si camuffano per poi tornare a svelarsi in una arcana ciclicità.
Mictlan sintetizza bene la filosofia narrativa di cui ti parlavo.
D: Nelle tue opere, il tema dei mondi sotterranei è ricorrente. Sia Naraka che Mictilian sono termini che, pur appartenendo a tradizioni culturali diverse, richiamano per l’appunto luoghi celati nelle profondità della terra nei quali si consuma la punizione delle anime macchiate dalle colpe commesse in vita. Lo stesso penitenziario di New Belmarsh è una voragine scavata nella crosta lunare, una spirale di gironi quasi dantesca. È una coincidenza o il frutto di una precisa ricerca?
R: La ricerca storica (oltre che una personale passione che è parte integrante della mia formazione) è sempre essenziale nelle mie opere, e non è certo casuale. Anche il futuro che ho illustrato viene delineato con una ricerca, tramite l’approfondimento delle nuove tecnologie oggi in fase di sperimentazione, portate solo qualche step più avanti, vesto lo sviluppo successivo e tutte le conseguenze. Penso ai robot antropofagi EAT di Naraka, un progetto dell’esercito americano, e ai nuovi sistemi olografici raccontati in Shanti.
Ma il “sottoterra” non rappresenta una vera connessione narrativa (o esistenziale) universale: è semplicemente una metafora che rivela come molte cose accadute, che accadono e che continueranno ad accadere, sono nascoste sotto il nostro naso. Sono sottoterra, o meglio, nascoste alla nostra percezione, alla nostra consapevolezza. Roba che è meglio seppellire, rinchiudere in mondo arcani, in gallerie, budelli maledetti o prigioni sconosciute.
La storia, passata e recente, lo dimostra. Da Guantanamo a molti altri esempi di secoli prima. Luoghi senza giurisdizione, sconosciuti, celati alla stampa e all’opinione pubblica, nei quali possono sfogarsi pulsioni basiche e archetipali. Sempre le stesse, che ci vivono dentro silenziosamente, digrignando i denti a volte. Graffiando.
La triade ci aspetta sempre al varco.
D: Di questi tempi le contaminazioni tra generi sembrano essere molto apprezzate dai lettori. Secondo te i generi, intesi come contenitori rigidi, sono destinati a scomparire?
R: I generi sono etichette adottate dal marketing, per influenzare e orientare le vendite, quindi riguardano un filosofia che non condivido. Parlo della metodologia da supermercato che è stata adottata dalla editoria italiana (in particolare) e che si caratterizza come una proposta sempre più scadenze, omogenea, di scarsa originalità, debole di messaggio, come ci viene rimproverato dai mercati esteri. Ci prendono per il culo, per dirla chiaramente, documentatevi, leggete cosa dicono fuori dai nostri confini.
Nelle mie opere i generi, se esistono, vengono mescolati alle cosiddette componenti letterarie, quindi nessun titolo potrebbe essere catalogato in un determinato slot commerciale o di tendenza. E la cosa mi piace molto. Se questa è “contaminazione”, ben venga, ma non mi piace questo nome, lo trovo inappropriato, in qualche modo rende l’idea di mancanza di purezza, di qualcosa che non è del tutto se stessa, di natura o di scelta anfibia.
Ma è una mia idea personale. Mi basta la salamandra sulla spalla, come anfibio.
D: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
R: A luglio uscirà una mia raccolta di poesie dark (sarebbe meglio definirli racconti in versi), in lingua inglese, per Kipple Officina Libraria. Avrò il piacere di avere come coautrice una autrice statunitense vincitrice del Bram Stoker Award. Ma lascio all’editore presentare l’opera al momento giusto.
Per il resto sto lavorando a diversi progetti eterogenei, tra i quali Samsara, il terzo romanzo della trilogia Naraka, che vedrà la luce più avanti, roba impegnativa. vedremo se sarà pubblicato con una CE o come produzione indipendente. Sto lavorando anche su diversi titoli indie (racconti e novelle) che vedranno la luce dopo l’estate. Continuerà la serie di racconti Naraka World (già arrivata a tre titoli), che a grande richiesta dei lettori vedrà di nuovo protagonista, la mia Kiki. Andrà avanti anche la serie Cannibal Crusade (iniziata con Vessel) che ci svelerà sempre più il mondo di questo strano antieroe e della sua banda, tra le vicende post-prima crociata. Tutto questo come Caleb Battiago.
Come Alessandro tra settembre e ottobre usciranno due titoli, il primo (che sarà pubblicato da una CE) mi vedrà al fianco di un noto autore di genere italiano, narrativa breve e poesia, sempre in lingua inglese. Ma non posso dire di più. Il secondo progetto, che batterà la bandiera Indie, riguarda invece una nuova serie hard-thriller, Enemy, ambientata in varie location durante gli anni ’60 e’70, ispirata alla vita di Jacques Mesrine, il celebre Nemico Pubblico Numero Uno. Il primo titolo di questa serie sarà ambientato durante la guerra d’Algeria.
Questi sono i progetti autoriali più imminenti e in lavorazione, mentre come editor mi è stata proposta (da un paio di CE) la guida di nuove collane di narrativa. Ci penserò più avanti, dovrò rifletterci con calma. Per ora preferisco continuare a lavorare come autore.
D: Cosa stai leggendo in questo momento?
R: Una rilettura, in realtà, un libro che ho voluto riaffrontare: 1984 di George Orwell. Lo so, ti aspettavi qualcosa di diverso, di più originale, ma devo approfondire questo testo per un progetto futuro. Ma sul comodino mi aspetta anche Gang Bang di Chuck Palahniuk, un libro che non ho ancora letto.
D: Sei al corrente che in rete c’è un certo Alessandro Manzetti che si spaccia per te?
R: Si, vecchie storie di doppelganger. Leggende metropolitane. Si sono spacciati in molti per me, mente altri mi hanno affibbiato nomi e cognomi tra i più svariati. Topiche davvero clamorose.
Non ci faccio più caso ormai. La mattina mi fermo allo specchio, aspetto che entri nella visuale Kiki, col suo profumo di mango e di vaniglia. Quelle fette di pelle compatta, linee verticali che solo Ingres avrebbe potuto immaginare, così pulite, armoniche. Odalische col cinturone. Kiki mi sorride, mi schiaccia le tette sulla schiena. Allora mi dico: sono proprio io Caleb, Kiki non andrebbe a casa di nessun’altro, almeno gratis.
D: Hai cinque righe tutte per te per dire quello che vuoi. Usale con saggezza!
R: Le uso per incollare l’incipit dell’ultimo racconto, “Regnum Congo” (da Red Kollection), perdonami se andrò un pochino oltre le cinque righe previste, potere della licenza poetica:
“La pioggia, sempre più stretta, penetra nel ventre del piccolo cimitero di Wilsondale. Lampi, tronchi che galleggiano in un mare di terra nera. Un posto senza più scheletro, senza una solida logica. Foglie affogate, ossa d’acqua, tutto sembra squagliarsi. La mia vecchia Ford è bloccata, azzannata dai denti morbidi del fango. I vermi, aggrappati allo sportello con un lunga cordata, sono arrivati alla maniglia. Sono riusciti ad entrare, hanno acceso la radio. Until the end of the world. Ho fatto una cazzata a uscire dalla Yankee Division con questo tempo. Tutto per trovare mio padre, la sua poltiglia sottoterra, quello che sarà rimasto del vecchio. Forse i suoi due denti d’oro, stelle nel frullato di melma. Il Massachusetts è troppo grande per scoprire una vecchia tomba, senza sapere dove cercare.”
D: Siamo arrivati alla fine, dobbiamo salutarci. Ti ringraziamo per essere stato con noi e ti auguriamo buona fortuna per tutti i tuoi progetti.
R (eventuale): Grazie per avermi ospitato, chiudo col mio solito “Buon appetito!”
L’Autore
Caleb Battiago è uno pseudonimo.
Dietro di esso c’è Alessandro Manzetti. Consulente editoriale e autore di narrativa e saggistica di genere horror, fantascienza, thriller, dark fantasy, weird.
Ha collaborato con varie case editrici come direttore editoriale, responsabile di collana, responsabile marketing, responsabile diritti esteri, consulente, e con diverse testate online, come columnist, curatore di rubriche di approfondimento letterario e articolista. Ha curato diversi blog dedicati alla narrativa di genere.
Ho pubblicato, a suo nome, una raccolta di racconti (Malanima – Storie di lame e presenze), una collection di interviste ai grandi maestri dell’horror anglosassone (Monster Masters) e diversi racconti inseriti in antologie, cartacee ed ebook. Con lo pseudonimo di Caleb Battiago ha pubblicato nove titoli ebook, tra i quali due romanzi (Naraka, Shanti) due racconti (Mictlan e Vessel) tre raccolte di racconti (Acrux, Parigi Sud 5, Limbus) e due collection di opere (Nakara Kollection e Red Kollection). Ha curato diverse antologie di narrativa in formato digitale e ho collaborato con vari autori come agente letterario. È Associate Member della Horror Writers Association e ha ricoperto il ruolo di Italy Coordinator e di columnist della newsletter.
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