Il torto del soldato è un libro di Erri De Luca, pubblicato da Feltrinelli nella collana “I narratori”. Nonostante la sua brevità, questo libro è molto intenso e coinvolgente.
Il romanzo è diviso in due parti: nella prima parte ritroviamo lo stesso De Luca, presente fisicamente, come egli stesso afferma;l’autore descrive la sua passione per la lingua yiddish, il viaggio intrapreso a Varsavia, dove ripercorre i luoghi dell’orrore e il suo trasferimento sulle Dolomiti, dove De Luca si rifugia alla ricerca della pace e del silenzio necessario per iniziare la traduzione delle opere di Isaac Babel Singer.De Luca siede al tavolo di una locanda di montagna. Birra,frittelle di spinaci e ricotta,fogli sparsi scritti in yiddish,da comprendere e tradurre,per lasciare aria ad una lingua che, a suo dire,è stata rinchiusa e soffocata e che tenta di sopravvivere. Il testo in yiddish,che un editore gli ha chiesto di tradurreè “Di FamilieMushkat”,“La famiglia Moshkat”, di Isaac Babel Singer .Questo romanzo ha la particolarità, per volere dello stesso autore, di avere due finali opposti:quello completo in yiddish ha un finale di speranza, mentre nella sua traduzioneinglese il finale è drammatico. Mentre è intento nella lettura del suo libro, si accorge che al tavolo accanto al suo siedono un uomo e una donna. L’uomo sembra essere ostile e insofferente alla presenza di De Luca, soprattutto alle carte che ha sul proprio tavolo.La donna invece lo guarda,sorridendogli . Qui inizia a svolgersi la seconda parte del romanzo. I due sono padre e figlia. Il padre è un uomo anziano,un criminale di guerra nazista che vive in clandestinità, con la costante paura di essere scoperto,al punto da vedere ovunque segnali di una possibile fine, di una vendetta, il che lo porta a sviluppare un’ossessione quasi maniacale per la Kabala. Vive la sua esistenza nascosta senza parlare, diffidando di tutti. Ripete solo costantemente che “il torto del soldato è la sconfitta, la vittoria giustifica tutto”, quasi per trovare, così, un senso e una spiegazione al fallimento suo e del nazismo. La donna ha saputo solo tardi di essere figlia di un gerarca nazista e nonostante tutto ha deciso di assumersi il compito di accudire quell’uomo, per stargli accanto nella fase finale della sua vita, senza domande, senza alcuna condivisione, consapevole soltanto di accompagnarlo verso un “salto nel vuoto”. L’autore abbozza un racconto delle loro vite, tracciandone linee essenziali. Vite così distanti, a prima vista, ma accomunate da una stessa solitudine. I due condividono un rapporto di silenziosa estraneità: tra di loro vige un non-dire, solo mezze parole appena abbozzate.Il criminale non rinnega il suo passato, non lo vive in tutto il suo orrore. Non c’è pentimento in quest’uomo, che non si è lasciato trascinare dal nazismo, ma l’ha vissuto e fatto suo, e che disprezza i gerarchi che a Norimberga si sono fatti scudo dell’aver “obbedito agli ordini” come ogni soldato deve fare. Lui quegli ordini li ha fatti propri, li ha interiorizzati. L’unica cosa che rimpiange è che l’esito finale l’abbia posto fra i vinti. Non così la pensa la figlia, per la quale la colpa del padre è certa e senza appello.La donna ha sempre assecondato il padre senza mai volerlo davverocomprendere. Vuole essere semplicemente “un effetto senza causa”; non vuole sapere i capi d’accusa perché il torto di suo padre non è per lei riducibile ad circostanza, ad un preciso momento storico. Nonostante il loro rapporto ambiguo e complicato, la donna gli resta accanto e lo asseconda nella sua assidua e quasi maniacale ricerca nel mondo della Kabala ebraica, dove lettere e numeri si scambiano e si corrispondono in un preciso gioco delle parti, e sono in grado di rivelare pronostici futuri;il valore numerico delle lettere, le corrispondenze tra le varie parole diventano un’ossessione per il vecchio soldato che andrà convincendosi che tutto è già stato scritto in anticipo: la nascita dello stato d’Israele, la distruzione degli ebrei, la sconfitta nazista. Tutto è il risultato di parole e numeri. E in queste corrispondenze egli crede di ritrovare anche il tragico ed inevitabile compimento del suo destino.
Una dramma a tre quello costruito da De Luca, fatto di sguardi più che di parole,tra personaggi che non hanno bisogno di parlare per comunicare.
La donna rivedrà, in quell’uomo incontrato alla locanda, le espressioni e le mani di un giovane di Ischia che, nelle lontane estati dell’infanzia, toglieva peso al suo corpo di bambina, insegnandole a galleggiare sull’acqua. Riscoprirà, in questo sguardo, quella parte di sé,spensierata e felice, che gli anni passati e la sua storia familiare hanno sepolto. Lo scrittore troverà in quel sorriso femminile un conforto nel quale aveva smesso da tempo di sperare : “..Mi guardò e le partì un sorriso, un colpo di corrente che apre una finestra..”. L’anziano scorgerà in quei fogli in yiddish sparsi sul tavolo l’indizio della sua fine imminente.Una storia dal sapore amaro in cui ognuno dei personaggi ha un suo spazio autonomo di sviluppo, pur essendo tutti e tre stretti nella stessa morsa.
Le descrizioni paesaggistiche di De Luca sono uniche: dai profili rocciosi delle Dolomiti, alternati al mare e ai profumi delle estati di Ischia, al grigiore cupo della Varsavia del 1943, dei campi di sterminio nazisti.
Il torto del soldato è un testo coinvolgente ,una storia affascinante e di molteplici letture, che si legge tutta d’un fiato, grazie anche allo stile inconfondibile di De Luca, asciutto, piacevole e intenso; grazie al gioco sapientemente costruito dall’autore,che riesce a creare con la sua scrittura di rimandi incrociati, che si muove tra passato e presente e corre su piani linguistici diversi. La parola di De Luca è una parola libera, essenziale, priva di orpelli retorici, che sa farsi anche poetica. Attraverso la sua scrittura De Luca ci spiega il vero torto del soldato:“…Il torto del soldato nel 1900 è stato quello di obbedire agli ordini. Perché il 1900 è stato il secolo che ha inventato la guerra moderna. E la guerra moderna la riconosci da tutte le altre guerre del passato perché distrugge più esseri indifesi, lontani dalle trincee, che vite di soldati. Questo è il puntuale fatturato di tutte le guerre moderne, come se l’obiettivo militare principale fosse la distruzione di vite umane prese a casaccio. Così è anche oggi, in riferimento alle spedizioni militari infelici e infondate alle quali partecipiamo…”.
Silvia Mangieri