La tradizione di storie che raccontano una guerra dal punto di vista degli sconfitti è tanto lunga quanto nobile: si potrebbe addirittura individuarne l’avvio nel 472 a. C. ad Atene, con “I persiani” di Eschilo, la più antica opera teatrale che sia giunta, per intero, fino ai nostri giorni.
In quel caso, la battaglia di Salamina, che segna una tappa fondamentale nell’affermazione della civiltà greca, è raccontata dal punto di vista dei Persiani, guidati da Serse, che falliscono nel loro tentativo di conquista.
Alessandro Barbero, probabilmente lo storico più famoso d’Italia, molto attivo sul piccolo schermo, a cominciare da Super Quark, ormai vera e propria star dei social (capace di conquistare più di ottantamila follower su Facebook) decide di inserirsi in questo solco con il suo ultimo libro “Alabama”, edito da Sellerio, che racconta la guerra di secessione americana raccontata dal Sud, dal punto di vista cioè degli Stati Confederati.
Già leggendo le prime pagine, torna in mente una riflessione tipica di Barbero che, riferendosi a Marc Bloch come iniziatore di tale pratica, ma con uno sguardo attento alla contemporaneità, sottolinea come il mestiere dello storico sia non soltanto di concentrarsi su battaglie campali e vita di personaggi celebri, ma sulla quotidianità.
E “Alabama” vuole rappresentare proprio questo: la vita al fronte, ma anche prima e dopo la guerra di Secessione, dei soldati semplici, prima che degli ufficiali e dei generali. Si potrebbe perfino dire che, in “Alabama” i consueti protagonisti (il generale Jackson, Abraham Lincoln) diventano comparse e le comparse assumono invece il ruolo di protagonisti.
Per raggiungere ancor meglio tale scopo, si nota una particolare cura dello stile, cifra caratteristica dello storico piemontese fin dai tempi di “Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo”, che gli valse addirittura il Premio Strega nel 1996.
Altra caratteristica del testo è il movimento agile e continuo tra un passato remoto e uno più prossimo, strizzando l’occhio al presente. Le vicende dell’esercito degli Stati Confederati del Sud ci vengono infatti narrate in forma indiretta, da parte di uno dei reduci, di nome Dick Stanton, che racconta la sua storia a una giovane studentessa.
E la racconta a modo suo, con le sue parole (decisamente, e con ogni probabilità inconsapevolmente poco politically correct), con le sue pause, i suoi silenzi. Quei silenzi in cui è difficile distinguere tra stanchezza e omissione, tra un ricordo impreciso e un particolare inventato.
Ma perché, ci chiediamo, quella studentessa, molti anni dopo, quando sono altre tragedie a scuotere il mondo, sta intervistando Dick Stanton? Lascia spazio al racconto per mettere a proprio agio l’interlocutore ma, lo apprendiamo fin dalle prime pagine, è interessata a un fatto molto specifico, e non è sicura che Stanton glielo rivelerà.
Deve avere a che fare con lo schiavismo, questione al centro del contrasto, e poi della guerra, tra Nord e Sud, che insanguinerà l’America dal 1861 al 1865. E oggi? Si scopre a pensare la ragazza, ascoltandolo. Già, oggi? Finiamo per chiedercelo anche noi, molti anni dopo, leggendo il racconto di un racconto. E nella memoria di una memoria scopriremo, forse, anche ragioni per guardare con occhi più consapevoli e con una coscienza critica più viva al futuro.
Recensione di Damiano Verda.
Alabama – Alessandro Barbero: compra online al miglior prezzo su Amazon