Federico Fabbri presenta La sottile differenza, romanzo edito da Luoghi interiori nel 2021: una narrativa densa, che va dritta al punto.
Ho apprezzato molto l’apertura brutale, che scaglia direttamente nell’azione di trama. Un incidente mette in crisi una famiglia, composta da quattro voci principali: Baby, la nonna, Amanda, la vittima dell’incidente, e infine Rachele e Pietro, i genitori. Questi personaggi si esprimono a capitoli alternati, come nel recente 1Q84 di Haruki Murakami (Einaudi, 2011). Baby è molto simpatica, una donna tranchant, senza peli sulla lingua. La triade data dalla famiglia citata, genitori e figlia, è problematica, e a me ha ricordato l’incedere di alcune opere cinematografiche dell’ultimo Nanni Moretti (ad esempio, Tre piani).
Buona lettura, ma prima, abbiamo occasione di parlarne con l’Autore in persona.
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CMS. Benvenuto, Federico. Parlaci di questo tuo romanzo, essendo peraltro tu scrittore già affermato, che si è misurato con la narrativa in passato.
FF. Grazie a voi. È presente sicuramente una vena agrodolce, che però è tesa nella direzione del dramma. Si tratta di una storia a quattro voci: la storia di una famiglia all’apparenza perfetta. Finta ipocrisia, benessere ostentato e stereotipi. Si è dunque nel canone della ricchezza borghese, fatto che in fondo è noto a tutti. L’incidente capitato alla figlia fa rivedere molte delle posizioni dei familiari, con relativa evoluzione narrativa. Il padre ripensa al proprio ruolo; la nonna, come sottolineavi, ho cercato di renderla simpatica, a modo mio.
CMS. Certamente. E i temi affrontati, da narratore?
FF. Anzitutto lo svelamento dell’ipocrisia citata. Non si può considerare un legame di sangue sacro, oppure alto, in quanto tale: l’amore non si compra. È questa la “sottile differenza”, che compare non a caso nel titolo. È una libertà rivendicata, anche a caro prezzo. Da tutti quanti i personaggi presenti.
CMS. Quali sono le tue fonti di ispirazione, e gli Autori o Autrici di riferimento?
FF. Come filoni, mi rifaccio a Patrick McGrath, che racconta sempre in maniera eccelsa la sofferenza psicologica. Mi piace la Elizabeth George, che va oltre il thriller, per raccontare sempre cose più che sostanziose. Il Baricco dei primi tempi, la Tamaro, sempre semplice e coinvolgente. Dei russi, ho apprezzato Anna Karenina, mentre sento più lontano da me Guerra e pace. Ma leggo anche Autori nuovi o storie sconosciute, purché si tratti di storie molto intime.
CMS. Secondo me tu ti collochi proprio tra McGrath, quanto a profondità, e la George, quanto alla capacità di avvincere. Non è un caso: il tuo sguardo infuoca la pagina, i personaggi, i caratteri umani, ergo mi pare che siamo lontani dalle narrazioni storiche ad ampio respiro e in affinità con i capolavori richiamati; in questo, come narratore, mi sento molto vicino a te. Amo trattare oppure osservare dettagli, contraddizioni, psicologie, quando non anche filosofie.
FF. Effettivamente, nel trattare la mia materia narrativa, ho preso spunto da un’esperienza di prima mano, che ho osservato da vicino, benché non personale. Mi sono accorto che non necessariamente tra familiari si possa sviluppare una simpatia. Ciò è senz’altro negativo. Tuttavia, bisogna combattere questa propria caratteristica non proprio edificante, oppure fingere ciò che non si è? Un quesito da letteratura.
CMS. È proprio così. A presto e buon lavoro.
FF. Grazie a voi tutti.
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