“Essere Melvin tra finzione e realtà” è un viaggio lungo il quale sta a noi lettori decidere la destinazione e l’intensità delle emozioni che vogliamo conservare nel nostro immaginario.
Questo cammino nella vita, ambientato tra Roma ed Acireale, non è altro che la biografia di Vittorio De Agrò una raccolta di memorie sotto forma di dialogo tra Mel, lo pseudonimo nel protagonista nonché il paziente in cura – o come ama definirsi il Don Abbondio della situazione – e il dottor Splendente, uno specialista in psichiatria la cui cura è caratterizzata da un linguaggio diretto e poco formale, quasi amichevole. La comprensione del passato a partire dal rapporto complicato col padre, un uomo irrequieto vittima di depressione bipolare, mira alla costruzione di un presente degno di essere vissuto, libero da quelle voci amplificate che fanno parte solo del passato di Mel ma che lo tormentano al punto da fargli commettere gesti da lui stesso inspiegabili, quasi inenarrabili. Un’analisi incessante che lo conduce al nucleo più profondo della sua ambiguità per giungere ad una ricerca di motivazione esistenziale quasi a voler sviluppare quella creatività come mezzo per puntare ad un’esistenza sostenibile e all’affermazione di sé, nell’esperienza di superamento dell’eredità familiare e dei molteplici problemi esistenziali, purtroppo causati proprio da un padre a senso unico, troppo ossessivo da rendere Mel privo di sicurezza e fiducia in sé stesso. Questi blocchi impediscono al protagonista di mettersi in gioco, gli creano inadeguatezza e lo portano a vivere in un vero e proprio isolamento alimentato solo dalle tante fantasie che si trasformeranno in file pronti – in un secondo step- a scagliarsi contro con tanta efferatezza. La scomparsa prematura del padre, a seguito di un linfoma, aggrava ulteriormente il suo disagio emotivo in cui primeggia la paura del rifiuto, tale da non riuscire a dominare le proprie emozioni e i rapporti affettivi, in particolare con le tante figure femminili, vere e proprie costanti nella vita di Mel. Mel ama molto il calcio e frequenta un corso per diventare arbitro; metaforicamente anche la sua giovane vita si trasforma in una partita di pallone in cui il campo non è altro che la percezione alterata della realtà e l’avversario da sottomettere la finzione, le sue costruzioni mentale, le sue paure. Ma nel gioco della vita è lui ad arbitrare, a decidere, a lottare e a vincere. La sua ricerca incessante di novità gli conferisce sempre nuova energia ed entusiasmo, elementi necessari per abbattere i file del passato. Il sogno è quello di trasformare la villa dove ha vissuto da bambino, da lui definita il “castello magico” di Acireale, in un’associazione culturale, un ritrovo per giovani, un centro polivalente in cui prende forma un nuovo file e attraverso il quale la storia va avanti. Sì perché il viaggio, caro lettore, è appena iniziato.
Consiglio questo libro a coloro che – a pugni chiusi – hanno afferrato la vita per la coda, senza mollarla, a coloro che hanno saputo con estrema lucidità chiedere aiuto ma con occhi sempre aperti ai sogni.
Termino con una citazione più che calzante di R. Magritte: “Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi.”
Letizia Castagnola
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