Quest’oggi, su WLibri, abbiamo il piacere di ospitare Fabrizio Corselli, poeta, curatore editoriale e direttore di collana, col quale parleremo – ovviamente – di poeti e di poesia.
Buongiorno Fabrizio e benvenuto su WLibri. La prima domanda che vorrei farti riguarda un argomento di cui si dibatte molto, cioè lo stato della lettura in Italia. Da lettore prevalentemente di narrativa mi domando come vadano le cose nel settore della poesia. Che puoi dirci, in merito?
In Italia si legge poco e male. Quel poco che si legge non aiuta peraltro a strutturare un pensiero forte riguardo alla Letteratura, soprattutto quando le azioni di marketing delle grosse CE tendono a formare un percorso unilaterale e viziato. Di conseguenza, molti piccoli e medi editori osano di meno e si allineano a questo sistema. Tutto diventa circolare.
Per ciò che concerne la Poesia, la situazione è un disastro. In Italia si scrive più poesia di quanto se ne legga. Quasi tutti sono poeti al semplice proferir parola, senza alcuna discriminazione qualitativa. In particolar modo non c’è un’educazione intellettuale al genere, nessun approfondimento, nessun confronto. La lettura della Poesia è circoscritta soltanto al campo del proprio “capolavoro”, l’unica forma di confronto è il momento dello sperticato elogio o del commentino facile su blog e social network. Per farti un esempio, quando chiesi a un sedicente poeta “tu leggi qualche altro poeta italiano?”, la risposta fu “e chi dovrei leggere?”. Qui mi fermo. Per fortuna i lettori cisono, ma sono troppo pochi, tanto che molte CE hanno deciso di cambiare il proprio piano editoriale, limitando le uscite di poesia o addirittura sospendendo le relative collane. Per fortuna esistono CE che portano avanti con grande dedizione e specificità il genere. “Marco Saya Edizioni” è una di queste, e ha tutta la mia stima. Purtroppo la maggior parte delle CE che tratta poesia è a pagamento o a doppio binario, proprio perché il genere comporta rischi di vendita.
Nell’immaginario collettivo il poeta è una figura controversa, sofferta e talvolta malinconica. Un’immagine alimentata da esempi di poeti che hanno vissuto esistenze ai margini. Tu come la vedi? Chi è il poeta oggi?
Il poeta è una figura controversa, sì. Vive ai margini perché l’allontanamento dalla quotidianità gli permette una maggiore astrazione, una maggiore immersione nella stessa realtà dalla quale è apparentemente fuggito, pur se trasfigurata. Il poeta riesce a dare a tale ambito una visione straniata, ci ridona della vita una versione inedita, una nuova identità nella quale si culla la sua componente creativa. Anche in filosofia, si crede troppo spesso che il metafisico sia un individuo distante dalla realtà, dalla vita. Il poeta si astrae per rientrare in quel liquido amniotico che l’ha partorito. Ottiene un nuovo punto di vista, egli è polytropos, multiforme, riesce a vedere le cose da più punti di vista, come ben suggeriva Pitagora. La Poesia è visore di una realtà altra, flessa alle leggi della trasposizione artistica. La nostra dimensione vestita con una maschera linguistica che ritrova la propria potenza espressiva nella metafora.
Essere poeta oggi è lo stesso dei tempi antichi, non muta l’essenza ma possono sì cambiare i temi, le prospettive, e anche le lotte. Soprattutto in un mondo in cui la Poesia si è persa nel mare delle banalità, delle tautologie, del minimalismo, della falsa democrazia quale strumento per rendere tutti più felici, apparentemente. L’Animus poetico rimane tale e quale, imperituro, immutabile.
Non se ne fa una questione di etichetta ma d’intimo sentire, di percezioni, di godimenti e di occasioni mancate. Essere oggi Poeta diventa una missione, un’ardua e determinata lotta contro se stessi, contro la tendenza fuorviante a perdere molto del sé nei confronti di una millantata promessa di pubblicazione a tutti i costi, ad anteporre la forma all’essenza. Essere poeti oggi è tendenzialmente essere se stessi nella vita e nella scrittura, eliminando ogni forma di ostacolo ideologico che porterebbe soltanto a una falsa illusione, da non confondere con la sublime concezione greca dell’apathe, di quell’illusione che creava il teatro, e che noi oggi chiameremmo “sospensione dell’incredulità”. Troppi “poeti” hanno smarrito la propria via, inseguendo ciò che invero possedevano già nella propria anima.
Tu sei anche curatore di opere di altri autori. A tal proposito, si dice spesso che in Italia ci sono più manoscritti nel cassetto che lettori. Quanti di questi manoscritti diresti che sono opere di poesia, in base alla tua esperienza? Quanti sono gli aspiranti poeti coi quali entri in contatto nel tuo lavoro?
Come accennato precedentemente, sono più quelli che scrivono poesia che i relativi lettori. Solo che, qui, a livello compositivo, entrano in gioco altre problematiche. La prima fra tutte, l’ignoranza in materia poetica, il disconoscere le basi di stesura a livello linguistico e stilistico. Nove manoscritti su dieci sono raccolte di preghierine della sera, abbozzi di deliri senza capo né coda, mere tautologie profferte come la più degradante delle elemosine, farebbero ribrezzo alla stessa condizione di povertà. La maggior parte dei testi sono scritti senza consapevolezza, senza cognizione di causa. Non basta “sentire” e lasciarsi andare, perché purtroppo si cade inesorabilmente sotto le leggi della forma. La negazione della tecnica, così tanto sminuita per esigenze personali, è un dolce paravento per coloro che vogliono fare i furbi e farla franca. Poi però si arrestano sulla scrivania del curatore per passare successivamente al cestino. Non esiste la Democrazia nella Scrittura. Inoltre, non leggendo non nasce l’interesse per altri poeti, la voglia di approfondire certe tematiche, di affinare la propria tecnica e così avviare immancabilmente la ricerca verso il proprio stile personale.
Gli aspiranti poeti con i quali entro in contatto sono tanti; di meno quelli che personalmente contatto io nella mia attività di talent scouting. Li aiuto a strutturare la sinossi e scheda dell’opera, nella revisione stilistica e nella fase di invio alle CE. Questo mi dà molto come curatore editoriale e come persona.
Autore o Curatore editoriale? Quale delle due attività preferisci di più o verso la quale ti senti più orientato?
Senza ombra di dubbio, la seconda posizione. Mi dà molte soddisfazioni e mi fa sentire più vivo. Soprattutto è un bellissimo lavoro di concertazione, di responsabilità, ti permette di entrare in contatto con tantissima gente e di conoscere nuove forme poetiche, nuovi stili e tanto altro. Ho scoperto nel tempo di avere una serie di attitudini che mi permettono di farlo con grande precisione, fermezza e soprattutto con spirito di abnegazione. Adoro prendermi cura dello scrittore, di seguire il prodotto editoriale nel suo lento percorso evolutivo, fino a giungere al momento tanto atteso della stampa.
Prossimamente uscirà una tua opera intitolata “Il Portatore di corni”, inoltre parli spesso di poesia vichinga. Come nasce questo amore per i miti nordici e perché proprio la poesia di quelle lande?
In verità, il mio amore è per l’Epica classica, partendo da quella greca fino a quella nordica. Ho sempre adorato l’intensità e il contesto della poesia celebrativa della lirica epinicia con Pindaro, per poi approdare all’ampio respiro diegetico del poema. Questa struttura mi è molto congeniale e la riverbero in tutte le mie produzioni, dall’opera tematica a quella erotica.
Parlo molto spesso di poesia vichinga poiché adoro la poesia scaldica, il suo rigore, per quanto io usi il verso “libero”, il processo di metaforizzazione delle sue kenningar (metafore perifrastiche), e soprattutto la commistione di due temi portanti come l’Amore e la Guerra. Per quanto si possano considerare “barbari”, i vichinghi vissero in una società in cui la poesia e i poeti eranofortemente valorizzati. Da questo punto di vista, i barbari siamo noi.
Con l’opera “Il Portatore di Corni – Saga dei Regni del Nord” ho rielaborato gli strumenti della tradizione poetica scaldica, assorbito i suoi dettami linguistici, forgiando un verso che riprendesse in parte l’essenzialità e la concettualità di quel modo di scrivere, soprattutto che fosse poeticamente autonomo. Ho proceduto per assimilazione, facendo miei quegli strumenti, e non per emulazione, come spesso invece fanno molti sedicenti scrittori di poemi a carattere epico. Di epos ce n’è veramente poco, spesso confondendolo con un poema di seconda definizione, ossia quello “lirico”, per non parlare dell’odiosa tendenza a scrivere prima in prosa e poi spezzettare, situazione che investe anche la poesia in genere. Ne ho derivato finanche un background che trae ampia ispirazione dalle saghe islandesi e dai miti norreni.
Qual è, secondo te, il percorso che un aspirante poeta dovrebbe seguire per passare dalle aspirazioni alla sospirata corona d’alloro?
La prima cosa, in assoluto, leggere tanta poesia. Come accennato prima, la lettura dà molti spunti di approfondimento e di riflessione, oltre all’arricchimento dello spirito. Leggere anche molta Saggistica sul genere.
A livello compositivo, studiare e approfondire il linguaggio poetico e le sue regole, poiché troppo spesso si confonde il linguaggio parlato con quello del verso. Questo vale tanto per l’approccio metrico quanto per il verso libero. Ci vuole equilibrio e moderazione. Nel primo caso si rischia di trasformare la Poesia in esercizio matematico, e nel secondo, l’uso troppo libero la ridurrebbe a mero delirio o ancora peggio a un sermone decontestualizzato. Una particolare attenzione darei alle figure retoriche, alla stilistica, all’armonia, all’euritmia, alle relazioni con la musica, e altro ancora.
Ciò che manca a moltissimi “poeti” è la maturità stilistica, o meglio la ricerca di un proprio stile, di una propria solidità. Questo viene a mancare quando si riduce, in maniera troppo frequente, la Poesia a futile rigurgito versificatorio, senza una consapevolezza, senza uno studio alle spalle. Il “basta semplicemente mettere il pensiero o il sentimento su foglio” uccide la volontà di ricerca e di approfondimento, oltre a creare una subdola pigrizia intellettuale. Molti di questi scrittori non sanno nemmeno dialogare o confrontarsi sul genere.
Dopo aver strutturato una propria stilistica, una solida maturità compositiva, forse si è pronti per una pubblicazione. Troppi sono quelli che vanno allo sbaraglio, peraltro poco convinti della propria opera, tanto la consuetudine editoriale ha insegnato loro che “basta provarci”, anche con un testo che fa acqua da tutte le parti. Qui non vige l’ideale olimpico di De Coubertin, peraltro distante dalla visione originale delle olimpiadi classiche. Ma anche così, nemmeno è detto che il poeta ottenga la tanto agognata corona d’alloro, essendo oggi la poesia molto aleatoria a livello di utenza. Ecco, il poeta dovrebbe ricercare il proprio pubblico, senza essere minato dall’ansia di possibili rifiuti o pochi consensi, estendendola con ostinazione a tutto il mondo. Non a tutti può piacere un determinato tipo di Poesia. Spesso si decentra troppo l’interesse del testo verso la ricezione di esso da parte degli altri. Si scrive e basta.
Prima di lasciarci, dicci qualcosa sui tuoi progetti attuali e futuri. A cosa stai lavorando e a cosa ti piacerebbe lavorare?
Attualmente sto lavorando su alcuni progetti letterari, divisi fra workshop sulla composizione – editoria e attività propriamente editoriali. In quest’ultimo caso, sto portando avanti il progetto “Cervo bianco” che ha come finalità quella di strutturare un’antologia di poeti molto validi, reclutati soltanto su invito.
Per ciò che concerne la pubblicazione, ho iniziato la stesura di un’opera di Saggistica, sempre sulla Poesia.
Se c’è ancora qualcosa che vorresti dire ai lettori di WLibri, fallo ora. Hai qualche riga tutta per te, da riempire in libertà.
Per concludere, vorrei soltanto dire a tutti quanti di non pagare per pubblicare, di diffidare delle CE che chiedono un contributo o che obbligano all’acquisto di copie. Purtroppo molti sono gli ingenui convinti che si debba sborsare soldi per coronare il proprio sogno editoriale, e su tale ingenuità queste CE fanno leva.
Ringraziamo Fabrizio per essere stato con noi e lo salutiamo augurandogli in bocca al lupo per la sua attività letteraria. Se volete seguirlo, o entrare in contatto con lui, potete farlo attraverso il suo blog: “L’antro delle Muse” – http://lantrodellemuse.wordpress.com/
Fabrizio Corselli definito dalla critica “Il Cantore di Draghi” è uno scrittore di poesia a carattere epico-mitologico e un saggista.
Nato a Palermo nel 1973, vive e lavora come educatore a Settimo Milanese. In qualità d’insegnante di Composizione poetica, a partire dal 2001, cura a livello didattico una serie di progetti letterari e Workshop volti a promuovere la poesia presso scuole, biblioteche, librerie e associazioni.
Diverse le pubblicazioni su riviste del settore e le collaborazioni con case editrici in qualità di consulente in materia poetica. Diverse anche le collaborazioni con Associazioni internazionali e note personalità dello spettacolo.
È autore del primo poema fantasy italiano dal titolo Drak’kast – Storie di Draghi, a cura di Edizioni della Sera di Roma. Presso la stessa dirige la Collana Hanami (haiku).
Altre pubblicazioni: l’antologia Autunno – Haiku (Edizioni della Sera, 2013), in qualità di curatore editoriale; l’opera tematica Nibelung e il Cigno nero (Linee Infinite Edizioni, 2013); l’opera erotica Enfer(Ciesse Edizioni, 2013); il poemetto Il Canto del fuoco presso l’antologia collettiva La Biblioteca dell’Immaginario (GdS Edizioni, 2013); l’antologia Inverno – Haiku (Edizioni della Sera, 2011), in qualità di curatore editoriale.