IL LIBRO IN UNA FRASE: “Un orizzonte che finisce è solo l’estensione di un altro che inizia dall’altra parte del mondo, e non si deve essere tristi se tutto ha un termine, né ci deve turbare la lunghezza del nostro cammino se sulla nostra strada c’è un billabong sulle cui rive possiamo riposare.”
TRAMA: Un incendio apocalittico distrugge il bush australiano ed in piena notte uomini ed animali cercano disperatamente di salvarsi utilizzando la via fluviale. Cassandra Harris ed una sua amica per prime, seguite da un piccolo di koala che le salta in grembo, rimanendovi aggrappato saldamente fino a che le due donne sono tratte in salvo dalla barca di un ingegnere australiano, la cui partenza per l’Europa è stata ostacolata da quell’evento imprevisto. Ma le vicissitudini di Cassandra sono solo all’inizio e si snoderanno tra l’Australia e l’Italia, dove troverà rifugio presso una sua amica, proprietaria di un bellissimo castello in Veneto. E’ proprio qui che il destino farà nuovamente intrecciare la sua vita con quella di Jason, che in quel luogo era atteso ad una conferenza internazionale per la presentazione di un progetto al quale aveva partecipato, assieme ad un architetto francese ed al magnate italiano che lo aveva ideato e sponsorizzato: la costruzione di Vertical City, un’avveniristica città interamente ecosostenibile. Il trait d’union tra questi due mondi apparentemente agli antipodi è costituito dal detective Haffner della Polizia del New South Wales che indaga su una serie di delitti, la cui scia di sangue sembra condurlo con decisione proprio in Italia. La sua tenacia lo porterà ad attraversare il globo, attratto da un insolito sospetto e dalla sua portentosa mente intuitiva. Quello che scoprirà nel castello di Castelbrando cambierà per sempre la vita di ognuno dei protagonisti.
RECENSIONE: La futuribile città verticale e lo sterminato bush australiano o i freddi obitori ed il letto di foglie di palma su cui l’aborigeno adagia un cadavere, sono solo alcuni esempi del dualismo tra tecnologie avanguardistiche e natura incontaminata che permea l’intera narrazione.
Ma la profonda sensibilità dell’Autrice riesce ad imporre il concetto che tale dualismo esasperato in realtà venga colmato dalla natura intrinseca degli esseri umani che possiedono i codici di quei luoghi e di quelle attività. Affatto dissimile appare, in quest’ottica, la posizione del nativo australiano che “governa la sua natura” e del grande industriale che con il suo fiuto “governa i suoi affari”.
E vi è di più.
Lo sterminato orizzonte dell’aborigeno non è poi diverso dall’orizzonte verso il cui limite si spinge l’ambizione dell’architetto che ha progettato la favolosa città verticale, costituendo in astratto il limite ideale verso cui l’essere umano tende per realizzare i suoi sogni e la sua natura più profonda.
Una sorta di orizzonte circolare che non divide ma unisce persone di culture lontane, accomunate da un altro elemento naturale imprescindibile per l’ambiente australiano: ogni essere umano ha il proprio billabong sulle cui rive fermarsi a riposare per ricaricare le batterie (naturali e quindi ecosostenibili anch’esse!).
Dall’intera narrazione scaturisce un romanzo di più ampio respiro, un vero e proprio romanzo sulla natura umana, sostenuto da una narrazione pulita e fluida, scevra però da quei sentimentalismi che avrebbero potuto inficiare l’efficacia della trama gialla.
Attratto da un insolito sospetto. Australian connection – Patty Durath Cooper – Frilli Editori